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Anello di fumo: le ecomafie a Roma

  • Immacolata Mariani
  • 1 dic 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Smaltimento abusivo di rifiuti. Avvelentamento ambientale prodotto dai roghi tossici. Coinvolgimento e sfruttamento di comunità povere ed emarginate, nel contesto di una metropoli come Roma: anche di ecomafie e del sistema "mafia capitale" si è parlato al Campo Antimafia di Gaeta. Perché è importante informare su tale fenomeno, su cui la criminalità organizzata ha costruito i suoi business più fruttuosi. Guardando il documentario "Anello di fumo", introdotto ai volontari del terzo turno da una delle ideatrici, Elena Risi, ci siamo resi conto che non si tratta di un tema caro solo alla campana Terra dei Fuochi

La video inchiesta, vincitrice ex aequo della 3a edizione del Premio giornalistico Roberto Morrione 2014, ricostruisce una storia di sporca illegalità, presente in molte zone d'Italia, ma riferita in questo caso specifico a Roma Capitale: è quella dell'anello di fumo che si sprigiona dagli incendi delle periferie romane, in particolare Roma Est. Anello di fumo che racconta di un modello di filiera criminale fondato sul business del rifiuto.

Attraverso un'inchiesta durata sei mesi sul fenomeno delle discariche illecite di Roma, alimentate da sversamenti di aziende di ogni tipo, un gruppo di giornalisti freelance romani - Edoardo Belli, Elena Risi, Valentina Vivona e Rossella Granata - ha ricostruito i passi di un vero e proprio sistema di sfruttamento per il ritiro e lo smaltimento degli scarti tossici e ingombranti, partendo dall'anello più debole della catena: le comunità di rom e sinti, che nella capitale girovagano assiduamente tra i rifiuti alla ricerca di metalli da rivendere. Ne è venuto fuori lo spaccato di una cruda realtà che accade sotto ai nostri occhi, ma di cui poco ci importa, poiché coinvolge in prima battuta persone che tendiamo a considerare rifiuti sociali. Partendo dal filone prettamente ambientale, l'indagine è inevitabilmente giunta a scoprire un mondo sotterraneo di emarginazione e sopravvivenza, accendendo un faro su un vero e proprio problema sociale di cui l'informazione mainstream non si occupa.

Nonostante la recente approvazione di una legge di contrasto ai reati ambientali (n. 68/2015), che andrebbe comunque accompagnata da regolamentazioni comunali più severe sulla tracciabilità degli scarti e da controlli regolari presso le aziende, al fine di impedire lo smaltimento abusivo, non si è formata ancora nei cittadini una coscienza civica abbastanza solida da contrastare il fenomeno a livello individuale, prima che collettivo. E rimane purtroppo ancora irrisolto il problema della bonifica delle aree utilizzate come discariche per lo sversamento.

Parlando di ecomafie al Campo Antimafia ci torna in mente Cipriano Chianese, il ragioniere della camorra, il cui patrimonio confiscato rimane ancora inaccessibile; le montagne di rifiuti seppellite dal clan dei Casalesi anche nelle province del Lazio. Ingiustizie che pesano come macigni di vergogna e illegalità su questo paese, che dopo 18 anni di battaglie solo da pochi mesi ha reso crimini perseguibili dalla legge i delitti contro l'ambiente. Ed il pensiero non può che andare a Roberto Mancini, il poliziotto morto dopo aver indagato sui rifiuti interrati in Campania. Noi non vogliamo fermarci, di ecomafie bisogna continuare a parlare.

 
 
 

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