Un papà e una mamma in cerca di giustizia
- Immacolata Mariani
- 25 ago 2015
- Tempo di lettura: 3 min
Sono color del cielo gli occhi di papà Vincenzo. Di un cielo terso che difficilmente si annuvola. Quelli di mamma Augusta, invece, raccontano di una malinconia beffarda che l'attanaglia dentro ma illuminano comunque di dolcezza. Una dolcezza malinconica, una consapevolezza che non muore: di speranza ce n'è ancora e loro non perdono istanti per raccontarla. Nino, il figlio poliziotto, glielo hanno ammazzato quasi 26 anni fa. Eppure, per la giustizia italiana, il delitto Agostino non ha un movente, né un volto per i suoi assassini.
Gli occhi di papà Vincenzo non potranno mai cancellare quella scena cruda, l'immagine del figlio colpito a morte insieme alla moglie Ida, incinta di una bambina. E' come se ce l'avesse ancora dinanzi, gli occhi si velano di emozione mentre ne descrive quegli attimi infiniti ai ragazzi del Campo Antimafia "Angelo Vassallo". In quel momento, non è più la storia di un cittadino ucciso perché avrebbe riconosciuto i responsabili del fallito attentato dell'Addaura ai danni del giudice Falcone. E' la vicenda di un uomo che muore violentemente sotto gli occhi del genitore, un uomo sposato da un mese che a sua volta sarebbe diventato padre, un uomo che aveva scelto la divisa per difendere il più debole.
Vincenzo si lascia andare al ricordo della giovinezza di Nino, rivive l'orgoglio che gli aveva dato quando dopo il servizio militare aveva deciso di rimanere in polizia. Con la quiete di chi ha saputo incanalare il proprio dolore, frammento per frammento, in una battaglia paziente per rivendicare giustizia, Vincenzo continua raccontando che la chiave della morte di quel giovane poliziotto sarebbe il 20 giugno 1989, il giorno precedente il fallito agguato a Falcone presso la villa dell'Addaura in Sicilia. Quel giorno, infatti, Nino si trovava casualmente da quelle parti a pescare ed assistette al momento in cui alcune persone depositarono un borsone pieno di 50 candelotti di dinamite, arrivando a sventare l'attentato. Da quel momento, Nino non fece un passo senza sentirsi osservato.
Il giorno della morte di Nino, il 5 agosto 1989, papà Vincenzo promise che non si sarebbe più tagliato barba e capelli fino a quando la verità sull’omicidio non sarebbe venuta fuori. Perché in questo caso la giustizia italiana si è ingolfata, compiendo depistaggi, offuscando documenti, lasciando testimonianze inascoltate, apponendo il segreto di stato all’inchiesta. Il silenzio è forse un modo per dire tacitamente che Nino Agostino aveva compreso più del necessario sui legami tra Stato e mafie?
Certo è che ai suoi genitori la rabbia non li ha resi rancorosi, né li ha fermati.
“Non ci devono essere più padri e madri che raccontano storie di figli uccisi”. Vincenzo e sua moglie Augusta Schiera non sono rimasti in Sicilia a rimuginare sul proprio dolore, girano l’Italia e ne travalicano i confini, lasciando un pezzetto di questa responsabilità ai giovani, affinché si nutrano della memoria di Nino, del suo coraggio di combattere per un mondo libero da quel “cancro inestricabile che sta lentamente infettando la società”, come scriveva il poliziotto nel suo memoriale da poco pubblicato. Affinché finalmente non si debba più pregare per ottenere quei diritti inalienabili, figli di uno Stato che si dice democratico: Verità e Giustizia. “So che arriverò ad avere giustizia” ribadisce mamma Augusta, fiera di ricordare le Tesi di Laurea dedicate al suo ragazzo, emozionata nel parlare di quel nipotino nato proprio nel 12° anniversario della morte, come un dono venuto dal cielo ad attenuare il dolore e a far spazio alla gioia.
Ai ragazzi del Campo Antimafia che glielo chiedono, Vincenzo Agostino non nega la fiducia nei confronti di quella parte di Stato che, in mezzo a tante mele marce, è ancora sana, nonostante abbia in sé ancora immensa rabbia verso chi ha occultato e depistato. “La mia barba rappresenta una vergogna per coloro che sanno e non parlano”. Poi parla dell’importanza dell’istruzione e della cultura come strumento fondamentale per non inginocchiarsi di fronte a chi compie soprusi, perché le mafie affondano le proprie radici nel terreno dell’ignoranza.
Il terreno buono, invece, è quello coltivato con amore, che da’ anche frutti di sapienza. Proprio come quello che i volontari del Campo e i cooperatori di Programma 101 stanno facendo rifiorire, in barba ai camorristi che lo avevano strappato ingiustamente ad altri contadini. “Complimenti a voi giovani che sacrificate le ferie e le vacanze per venire a lavorare i campi. E’ così che si combattono quei malviventi che hanno fatto tanto male a questa Italia”.
Gli occhi di papà Vincenzo non smettono di guardarci. In quel cielo terso si riflette la platea di volontari che hanno raccolto la sua testimonianza, assorbito la sua tenacia, riempito il proprio bagaglio personale.
E sappiamo che è così. Hanno davvero lasciato un segno indelebile perché in quei ragazzi vive la stessa convinzione di papà Vincenzo e mamma Augusta: una giustizia per Nino Agostino verrà e ora ci siamo anche noi a chiederla con forza.

Commentaires