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Mimmo Beneventano e la tentata memoria

  • Massimiliano Di Meglio
  • 26 nov 2015
  • Tempo di lettura: 4 min

Due viaggi a ritroso nel tempo: quello della memoria e quello della ricostruzione storica; due emozioni: l’affetto per una persona cara a cui è stata strappata la vita da un lato, il rispetto per una figura esemplare dall’altro; due linguaggi differenti: il ricordo personale e la rappresentazione teatrale.

Attraverso queste due strade si sviluppa al Campo Antimafia il racconto della storia di Mimmo Beneventano, assassinato dalla camorra il 7 Novembre del 1980 a causa della sua lotta in difesa dell’ambiente e del proprio territorio. Di Mimmo ci raccontano due persone: la sorella Rosalba Beneventano, presidente della Fondazione Mimmo Beneventano, ed Eduardo Ammendola, ideatore ed interprete dello spettacolo teatrale “Tentata Memoria – orazione civile di rito Beneventano”. Due sguardi diversi sulla medesima vicenda; quello di un familiare, carico di tutta l’emozione del ricordo di una persona cara, e quello dell’artista che dal 2003 racconta questa storia “perché deve”.

La storia di Mimmo è tristemente semplice, simile a troppe altre storie che il nostro Paese racconta, come dice la sorella Rosalba Beneventano: “mio fratello faceva cose normali, lottava per i diritti” ; da sempre persona sensibile e generosa, medico nel paese di Ottaviano, situato alle pendici del Vesuvio, Mimmo si impegna per la propria comunità candidandosi come consigliere comunale e venendo eletto per due volte consecutive, nel 1975 e nel 1980; attento alle tematiche ambientali, si oppone fortemente allo scempio della speculazione edilizia che rischia di investire la Valle delle Delizie, territorio circostante il Castello Mediceo di Ottaviano, caduto in quegli anni nelle mani di Raffaele Cutolo e della sua Nuova Camorra Organizzata. Beneventano capisce una cosa molto importante: in quegli anni la camorra sta operando un “salto di qualità”, comprende che il pericolo sta nell’alleanza e nella connivenza tra potere politico e criminalità organizzata. Si oppone fortemente a questa situazione, e proprio questa sua intransigenza di fronte al compromesso, ed il suo richiamo alla responsabilità ambientale, saranno di grande ostacolo ai piani della camorra, che con un atto di barbara violenza lo uccide in un agguato mentre si recava al lavoro in ospedale. La somiglianza con la storia di Angelo Vassallo, al quale il nostro campo è dedicato, è fortissima; tanto che la stessa Rosalba si commuove al ricordo: “al funerale di Angelo ho rivisto mio fratello”.

Il racconto di Rosalba prosegue con la descrizione delle difficoltà che si aggiungono al dolore di perdere una persona cara in questo modo: “Il percorso dei familiari di vittime innocenti è sempre lo stesso”, dice, “ci si allontana; non volevo usare il mio cognome”. Di fronte ad un fatto così grave il sospetto viene alimentato dalla paura, la diffidenza delle persone cresce e diventa un muro insormontabile: “Come fai a spiegare alle persone che non era un infiltrato?”; come fare a dimostrare che non si trattava di un “regolamento di conti”, come provare che Mimmo era una vittima innocente, ed anzi era stato ucciso proprio per il suo impegno nell’ostacolare la criminalità? Per le persone è più semplice pensare a chissà quale torbido segreto, piuttosto che ammettere che un uomo innocente sia stato ammazzato a causa del suo impegno per la comunità, per il suo senso di responsabilità. Un contesto di dubbio ed omertà alimentato dalla paura della violenza e della ritorsione: “Parlare di camorra negli anni ’80 era impensabile”, dice Rosalba, “persino mettere un manifesto per l’anniversario della sua morte era rischioso”. A Mimmo Beneventano sono intitolate oggi ad Ottaviano una strada, la stessa in cui è stato ucciso, un circolo di Legambiente (nato nel 1989), una sede di partito ed una scuola; segno che il territorio ha avuto la forza di cambiare, di prendere esempio dall’impegno di Mimmo tenendone viva la memoria.

Di memoria ci parla Eduardo Ammendola, che incontrando la storia di Mimmo decide di raccontarla attraverso uno spettacolo teatrale. “La memoria è fatta di racconto, la nostra penisola ne è piena”, spiega, “non c’è da insegnare a qualcuno cosa è successo, c’è da stimolare un nervo scoperto. La storia d’Italia passa anche da casa vostra; in casa di ognuno di noi si trova almeno una traccia di una vittima di camorra”, in quello che può essere un oggetto fisico, un ritaglio di giornale, una foto. Lo spettacolo teatrale diventa così una “magia di incontri”, un momento in cui il racconto di una storia si intreccia con il ricordo personale, ne si riconosce la quotidianità e la vicinanza al nostro vissuto: “Vado in teatro perché? Perché scopro qualcosa che mi riguarda, ma che non riguarda solo me”, il racconto diventa un’esperienza condivisa, una partecipazione allo stesso tempo intima e pubblica alla storia che viene raccontata. Eduardo ci parla poi delle motivazioni che stanno dietro al racconto, e ci spiega come le vittime innocenti non siano tutte uguali, ma si debba fare una distinzione legata alle differenti situazioni; ci sono vittime coinvolte “per caso”, perché si trovavano purtroppo lì in quel momento, e meritano giusta memoria e sacralità; ci sono i bambini, troppo spesso coinvolti in qualcosa a loro totalmente estraneo; e ci sono le vittime politiche, uccise per la loro attività di contrasto alla criminalità. Queste ultime vanno distinte dalle altre per essere ricordate come esempi da seguire, per trovare in loro uno sprone per la nostra condotta: “è come se fossero messe insieme le vittime ed i guerrieri di una guerra; tramite questa distinzione capiamo chi dobbiamo difendere, e da chi dobbiamo imparare”. Persone esemplari come Mimmo Beneventano.

 
 
 

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