Paolo De Chiara: il coraggio di dire no
- Immacolata Mariani
- 11 lug 2015
- Tempo di lettura: 3 min

Professionisti della vita quotidiana che scelgono l'onestà di essere buoni cittadini. Non fanno nulla di speciale, nulla di eroico. Non brandiscono il drappo candido dell'antimafia, né indossano una maschera di facciata per mostrarsi uomini virtuosi, ma semplicemente hanno deciso di non voltarsi dalla parte dell'indifferenza e agire in nome della legalità.
Eppure, i testimoni di giustizia perdono tutto. Nome, identità, radici, affetti, lavoro, speranza. Sacrificandosi per lo Stato in cambio di una tutela non-tutela. Sabato pomeriggio è stato il momento della riflessione su questo tema.
Paolo De Chiara, giornalista e scrittore molisano, conosce a fondo le loro storie, ci ha scritto sopra pagine dense di particolari, frutto di un minuzioso lavoro di ricerca e di un rapporto che sfocia nell'amicizia con chi gli confida le difficoltà di essere un esiliato perché ha fatto la scelta più pericolosa: denunciare volontariamente fatti mafiosi di cui è stato vittima o testimone.

Un 'rinnegato' che lo "stato con la s minuscola" dimenticherebbe volentieri se non fosse per una legge: la 45/2001 solo formalmente ne riconosce lo status e i diritti rispetto al collaboratore di giustizia, il mafioso che per ottenere un vantaggioso sconto di pena "si pente" e fornisce preziose informazioni alla procura. Il testimone di giustizia, invece, come ci ha spiegato De Chiara, nonostante "abbia ribaltato il concetto di paura" ribellandosi alla soggezione delle mafie, risulta un personaggio scomodo, che viene “utilizzato” dallo Stato fin quando ce n’è bisogno e poi lasciato solo, all’interno di un programma di protezione spesso poco efficace (quando attivato) oltre che privato della possibilità di condurre una vita dignitosa, anche dal punto di vista lavorativo. Per farci capire cosa accade ai testimoni di Giustizia, Paolo De Chiara utilizza la metafora di un limone spremuto e poi gettato via. Siamo di fronte ad un Paese in cui 1200 pentiti di mafia godono di diritti che gli 80 testimoni di giustizia, volontari antimafiosi senza distintivo, non conoscono.

Paolo de Chiara ci narra le vicende di tanti protagonisti dell'antimafia silenziosa: commercianti che hanno pagato un prezzo altissimo per aver detto no al pizzo, magistrati che con le loro indagini fanno venire a galla gli altarini della politica collusa con la mafia, donne ripudiate e uccise dalla famiglia d’origine. E’ il caso, per esempio, di Lea Garofalo, calabrese nata all’interno di una famiglia ‘ndranghetista che cerca di sradicarsi da un contesto in cui la normalità è fatta di faide familiari per detenere il comando sul territorio, scappando al Nord. Dopo aver assistito ad un omicidio, entra nel programma di protezione dei testimoni di giustizia, contribuisce a mandare in galera esponenti di cosche, ma viene abbandonata dal sistema ed il suo ex convivente, Carlo Cosco, salito intanto nella gerarchia del potere ‘ndranghetista, la fa uccidere e bruciare: una verità venuta fuori solo in Cassazione grazie ad un collaboratore di giustizia coinvolto nella vicenda. Durante i sette anni di permanenza nel programma, poco prima di uscirne, Lea Garofalo scriverà anche una lettera al presidente Napolitano e ai media per far conoscere la sua condizione di isolamento, una lettera di cui i media daranno notizia solo dopo la sua morte.
Poi De Chiara ci racconta di Gennaro, ex dirigente di un’azienda campana, pronto a denunciare le storture della rete autostradale, i cui appalti, si scoprirà, erano in mano a camorra e ‘ndrangheta. Tre anni per entrare nel programma di protezione grazie ad una petizione popolare sul sito Change.org, un tentato omicidio mascherato da rapina ed un’attuale condizione di esiliato senza futuro.
Per non parlare di Maria Concetta Cacciola, Carmelina Prisco, Cosimo Maggiore. Qualcuno ha pagato con la vita lo scotto della propria onestà.
Dobbiamo fare i conti con il fatto che non esiste una legge che metta lo Stato in condizione di tutelare queste persone come meritano: non idoli da acclamare, ma persone normali che hanno adempiuto solo al proprio dovere. Ricordiamocelo.
Proprio in tal senso, il Campo Antimafia “Angelo Vassallo” si riempirà di iniziative volte ad accendere un faro sulla drammatica situazione dei testimoni di giustizia in Italia. E’ l’antimafia dei cittadini onesti che vogliamo portare avanti. Non quella dei martiri, né quella degli eroi.



























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