Stare insieme migliora la vita!
- Chiara De Conca
- 1 apr 2015
- Tempo di lettura: 2 min
L’identità individuale si costruisce attraverso la crescita e ciò avviene in varie fasi: dalla socializzazione primaria dove l’infante interiorizza il mondo dei genitori, gettando le basi per la costruzione della personalità in maniera sintonica con la cultura di riferimento, alla socializzazione secondaria ovvero quel processo mediante il quale l’individuo interiorizza i saperi professionali e dove acquisisce la capacità lessicale e metodologica in relazione alla scelta lavorativa che si compie. Ma l’individuo è considerato tale solo in relazione con la società, in fondo lo stesso Darwin definiva l’uomo un “animale sociale” e ciò implica la necessità di edificare costanti relazioni interpersonali… ma a che fine?
È dimostrato che l’identificazione con il gruppo riduce l’influenza di svalutazione sociale e proprio in quest’ottica si inserisce lo studio di Mouna Bakouri pubblicato sul British Journal of Social Psychology, il quale conferma che la connessione emotiva e relazionale con il proprio gruppo di appartenenza (non solo etnico ma anche familiare e amicale) ha un vero e proprio "effetto tampone” nei confronti di tutti quegli agenti “stressanti” quotidiani, rafforzando inoltre la capacità di coping e di problem solving.
Vediamo nello specifico di cosa si tratta:
Lo studio
Tramite la somministrazione di questionari a 365 Svizzeri di età compresa tra i 15 e i 30 anni, l’autrice ha raccolto dati circa le preoccupazioni finanziarie degli stessi, le barriere sociali percepite, la professione, i progetti oltre che i livelli di autostima, l’efficacia percepita e il criterio di definizione dell’identità che è stato successivamente codificato per distinguere tra soggetti con un sé basato sui legami e soggetti con un sé definito più su base individuale e quindi avulso dalla dimensione sociale.
I risultati
Dallo sviluppo dei dati è emerso che la percezione delle difficoltà e delle barriere strutturali ha un effetto negativo sull’autostima, indipendentemente dallo status professionale ed economico. Tuttavia vi sono delle differenti reazioni: la prima ipotesi si fondava sul presupposto che gli individui appartenenti a gruppi sociali “svantaggiati” avvertissero maggiormente ostacoli e barriere socio-strutturali. Tale ipotesi è stata confermata. La seconda ipotesi sosteneva che la definizione di sé incidesse sul modo di affrontare queste stesse difficoltà ed effettivamente, l’autostima degli individui che avevano costruito il proprio Sé in relazione a legami di appartenenza significativi ne usciva meno danneggiata e addirittura connotata di elementi quali la positività nei confronti delle proprie capacità, nonchè la forte resilienza.

Possiamo affermare che la dimensione individuale è sicuramente importante come elemento di equilibrio ,ma la vita dev’essere affrontata vivendo appieno quel senso di appartenenza attraverso la costruzione di legami che aumentano la nostra autostima e la nostra capacità di progettazione futura. L’intera società mondiale è proiettata verso l’individualismo e ciò non può far altro che aumentare le ansie e le preoccupazioni: il minimo impedimento ci sembra insormontabile. L’unica "cura" a questa "malattia dell’isolamento" è proprio nella condivisione e nello stare insieme.
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