INCONTRO CON GRAZIELLA DI MAMBRO E NELLO TROCCHIA
- programma101onlus
- 11 ago 2014
- Tempo di lettura: 4 min
Dalla confisca dei beni nella provincia di Latina ai paradigmi mafiosi che caratterizzano le logiche clientelari dell′imprenditoria, passando per le generalità dei camorristi che nel territorio hanno messo radici "di cemento", per lo più frutto di soldi sporchi: al Campo antimafia si affronta più approfonditamente l′argomento, ampliandone le sfaccettature insieme a Graziella Di Mambro e Nello Trocchia, due giornalisti che si sono molto occupati della questione, non solo a livello territoriale.

Ai ragazzi del Campo antimafia viene offerto innanzitutto uno dossier complessivo sul patrimonio esistente in provincia, che ammonta ad un valore complessivo di circa 300 milioni di euro. Si tratta di beni già potenzialmente fruibili e redditizi, a disposizione della collettività perché confiscati, ma la cui esistenza è pressoché oscura, data la negligenza dei comuni che non si preoccupano di stilarne un registro catastale, né di regolamentarne l′affidamento: solo per citarne alcuni, nel comune di Spigno Saturnia è presente un caseificio confiscato; a Formia il complesso turistico-alberghiero "Marina di Castellone" e a Sperlonga una villa faraonica da 21 stanze, entrambi sottratti a Cipriano Chianese, l′avvocato implicato fino al collo nel traffico e interramento illecito di scorie tossiche, in qualità di esecutore materiale al fianco del capo clan Francesco Bidognetti, boss di vertice dei Casalesi, condannato per disastro ambientale aggravato in terra campana.

Di questi immobili fermi e ignorati (a Terracina, il comune ha ammesso di non sapere di averne uno nel proprio territorio), potrebbe essere pensato un riutilizzo sociale, se solo si afferrasse il coraggio di superare quella cortina di infamia che li avvolge: per l′ex villa di Chianese è stata avanzata l′ipotesi di creare un centro culturale per i giovani, intitolandolo, in un gesto altamente simbolico, alla memoria di Roberto Mancini, autore della prima indagine sull′avvocato. Non solo vergogna nella provincia tenuta in scacco dalla camorra. A Formia, per esempio, è la paura che impedisce di entrare negli appartamenti confiscati al clan Bardellino (appartenenti al gruppo dei Casalesi, frangia Schiavone, ma residenti a Formia dagli anni ′80): case destinate ad emergenza abitativa, in cui risiede ancora Flora Gagliardi, moglie di Ernesto Bardellino, fratello di Antonio, fondatore dei Casalesi. In merito a questa situazione, durante l′amministrazione Forte, le indagini hanno accertato che alcuni dirigenti comunali si adoperarono per salvaguardare l′alloggio popolare della donna, in una presunta condizione di indigenza. Lo stesso terreno su cui lavorano i ragazzi del Campo apparteneva alla famiglia Bardellino, intenzionata a costruirci una villa.
Ma sono anche altre le criticità che non consentono di utilizzare questi beni. A partire dalle ipoteche bancarie, che rimangono soffocanti colli di bottiglia nel momento in cui i beni passano nelle mani dello Stato. O l′occupazione abusiva da parte dei familiari, come nel caso della Villa confiscata nel 2012 al boss ′ndranghetista Parrello Candeloro in provincia di Frosinone. Situazione intricata anche dal complesso iter burocratico necessario per sgomberarla e procedere così ai passaggi successivi post-confisca, ovvero individuazione della destinazione e assegnazione al soggetto (associazione, cooperativa) che se ne prenda carico. L′indivisione del bene costituisce un altro paradossale problema che ostacola la battaglia contro la mafia: 2/3 del bene appartengono allo Stato, mentre l′1/3 rimanente continua a rimanere nelle mani del soggetto mafioso, nonostante sia stata accertata la matrice malavitosa. Beni destinati a permanere in stallo, poiché la normativa non consente di venderli: qui la partita giocata con la mafia subisce una battuta d′arresto, di cui sono responsabili anche le istituzioni, la politica, l′imprenditoria e il mondo professionale. Se venisse emanata una legislazione più cogente, colpirebbe pesantemente i loro movimenti. Al contrario, lo Stato, come ha affermato il redattore de "Il Fatto Quotidiano", Nello Trocchia, dovrebbe avere interesse a proseguire ciò che è stato iniziato con la confisca, primo simbolico passo per lacerare il patto tra gli attori coinvolti (mafiosi e non), recuperando il bottino, ma soprattutto attivando la capacità di restituirlo alla collettività.
Va spezzata una corda robusta, che lega a doppio nodo le organizzazioni mafiose ad imprenditori, colletti bianchi, politici. «Oggi la mafia ha la faccia delle opere pubbliche che costano tre volte di più, - ha detto Nello Trocchia - delle fondamenta friabili delle case d′argilla, della corruzione dilagante che si mostra anche nella pratica diffusa di favori e raccomandazioni. Una mafiosità senza mafia. Senza boss». Bisogna far sì che il tema della confisca diventi di interesse per la politica e soprattutto per l′opinione pubblica, affrontando innanzitutto un "problema di pronuncia", che consiste nel chiamare col proprio nome gli artefici di tanta "monnezza": Bardellino, Magliulo, Bidognetti, Chianese. Graziella Di Mambro, giornalista e vice direttore de "Il Quotidiano di Latina", lo ha affermato che è necessario nutrire una coscienza, sviluppare un "vocabolario dell′antimafia", altrimenti si genera un′ignoranza controproducente, una disattenzione che sfiora la collusione, come nel caso del Café de Paris romano: marchiato dalla ′ndrangheta, confiscato ed ora in funzione, il locale rischia la chiusura, perché non se ne conosce la reale situazione e viene evitato. O ancora si rischia di accettare la convivenza con i camorristi nel proprio territorio, perché non è più così facile trovare "il morto per strada" oppure, come ha detto Graziella Di Mambro, più volte querelata per le sue inchieste, «nelle persone si è radicata una giustificazione di delega, per cui se avviene un omicidio in strada o in spiaggia, come è accaduto qualche anno fa a Terracina, il fatto viene semplicemente accantonato, convincendosi che si tratta di un regolamento di conti, una cosa tra loro che in fondo non ci riguarda»: un atteggiamento che ha il fetore dell′ipocrisia e aiuta a mantenere in sella il fenomeno mafioso.

«Tutti devono sapere cosa accade nella provincia di Latina, non solo che esiste un mare pulito, ma anche che vogliamo riprenderci ciò che i mafiosi ci hanno estorto con i loro affari loschi. - ha poi concluso la giornalista pontina - Dalle piccole cose, nascono grandi rivoluzioni. Così, anche il vostro progetto di Campo antimafia determinerà una presa di coscienza, un cambiamento nei meccanismi, che alla lunga produrranno risultati».
Comentarios