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A SCUOLA CON IGNAZIO CUTRO', TESTIMONE DI GIUSTIZIA

  • programma101onlus
  • 28 lug 2014
  • Tempo di lettura: 5 min

ll lavoro sul campo non conosce giorni di riposo e così anche domenica i ragazzi vi si recano a spendere le ultime energie della settimana, prima di dedicarsi qualche ora di meritato riposo. Anche lunedì 28, nel penultimo giorno di questo primo turno di Campo antimafia, si continua imperterriti, c′è ancora tanto da fare sui campi, soprattutto in previsione dell′elaborazione di un possibile progetto di riqualificazione che ne illumini le potenzialità senza dimenticarne l′utilità sociale. Il pomeriggio è molto ricco. Dopo la formazione, li aspetta un coloratissimo ludobus della Cooperativa Altri Colori, venuto ad animare la cittadina, nell′ambito della campagna "GAETA NON GIOCA D′AZZARDO", promossa da Comune di Gaeta, Croce Rossa e Cooperativa Programma 101.

Nell′aula di Via Veneto, i ragazzi siedono ai banchi di scuola. Appesa ad una parete la scritta: WE MUST DO OUR DUTY ALL THE WAY, WHATEVER IS THE COST TO BEAR, SINCE THIS IS THE ESSENCE OF THE HUMAN DIGNITY (Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l′essenza della dignità umana). Quella frase di Giovanni Falcone oggi risuona particolarmente eloquente. La persona che parlerà ai ragazzi, infatti, sembra averla presa a dettame della propria vita. Una persona che ha creduto fortemente nello Stato, denunciando i malavitosi che volevano estorcergli denaro onesto. Una decisione maturata dall′indignazione, dall′esigenza insopprimibile di resistere alla prevaricazione e difendere la propria dignità di uomo: è Ignazio Cutrò, un testimone di giustizia. Cutrò fa parte degli oltre ottanta "morti che camminano" presenti in Italia, un migliaio tra testimoni, familiari e uomini della scorta.

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Massimiliano della Cooperativa Programma 101 introduce l′imprenditore della provincia di Agrigento, iniziando con una distinzione fondamentale tra i termini "collaboratore" e "testimone" di giustizia, per districare i nodi della confusione che spesso si genera: il collaboratore, meglio noto come "pentito", si piega alla magistratura il più delle volte per convenienza, perché reo di svariati crimini, ambisce ad ottenere sconti di pena; il testimone di giustizia, invece, ha vissuto sulla propria pelle un′ingiustizia, un fatto illecito o violento e decide autonomamente, in ossequio ad un dovere morale, di offrire la propria testimonianza alla giustizia per dare un contributo nella lotta al crimine organizzato. E così è stato per Ignazio Cutrò, che cominciò a denunciare "contro ignoti" nel 1999, quando i suoi estorsori appiccarono il fuoco ad una pala meccanica, strumento impiegato nell′impresa edile di sua proprietà, dopo che si era rifiutato di sottostare al racket perpetrato ai suoi danni. Da quel momento fu un susseguirsi di minacce, lettere anonime, intimidazioni ed ulteriori attentati incendiari. Da parte sua, Cutrò non smise di denunciare, intraprendendo nel 2006 il sentiero definitivo della testimonianza di giustizia, fino all′arresto di alcuni membri del clan Panepinto. Ma non si trattò di una liberazione. Da quel momento la magistratura e le istituzioni gli fecero conoscere un′amara solitudine: un′auto di scorta fu l′unica cosa che gli venne inizialmente riconosciuta, mentre la sua famiglia rimase priva di protezione per tre anni. Alla fine del processo nel 2011, Cutrò e la sua famiglia sono entrati nel programma di protezione per testimoni di giustizia, ma non hanno accettato di venir estirpati dalla propria terra d′origine, né di cambiare identità. Cutrò e la sua famiglia hanno deciso di rimanere a Bivona, perché loro non hanno commesso alcun crimine, perché, giustamente, «sono i mafiosi che se ne devono andare». Anche se non è facile. Ignazio Cutrò lo dice durante l′incontro, nel gesto di rivoltarsi le maniche della camicia. «Sono un padre di famiglia, che crede nelle istituzioni, continua a crederci ancora, nonostante tutto. I carabinieri sono i nostri angeli, li abbiamo adottati perché sono la nostra famiglia, i nostri amici. Però le cose vanno dette così come sono. Che Stato è quello che abbandona i propri figli? Che non paga i suoi servitori come dovrebbe? Che abbandona i testimoni di giustizia?» L′imprenditore racconta pochi passaggi della sua vicenda antiracket. Nel suo narrare irruente e arrabbiato, c′è, invece, la forza incoercibile di una rivendicazione, che non è pretesa, ma richiamo ai giusti diritti di un cittadino che, con onore, ha scelto liberamente di sacrificare la propria esistenza per la legalità. Pur essendoci una differenza concettuale molto importante, infatti, collaboratore e testimone di giustizia (figura istituita con la legge 45/2001) godono dei medesimi diritti, ma solo sulla carta. Innanzitutto, dal punto di vista della protezione, vige una situazione molto approssimativa, carica di pressappochismo e negligenza, in puro stile italiano: le forze dell′ordine sono al fianco della famiglia, fanno il loro dovere, ma il più delle volte si tratta di personale non specializzato, preso in modo casuale dalle caserme, che non conosce i luoghi e le persone da cui difenderli oppure viene cambiato ogni due giorni. In questo modo la loro tranquillità viene messa alla prova giorno dopo giorno. Stessa inadeguatezza per i mezzi utilizzati e i sistemi di sorveglianza notturna. In secondo luogo, come testimone che ha scelto di rimanere in loco, lo Stato nella realtà non gli corrisponde alcuna somma mensile a titolo di mancato guadagno. Dopo la decisione di denunciare, infatti, Cutrò ha avuto difficoltà a riprendere il lavoro ed ottenere appalti. Nonostante l′ottimistica ripresa dell′attività imprenditoriale nel 2012, decisione sollecitata anche da promesse di aiuti mai mantenute, l′azienda ha collassato definitivamente a ottobre scorso e adesso i problemi economici si fanno sentire. L′imprenditore di Bivona, però, non si è mai arreso. Con l′Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, che ha fondato e di cui ricopre la carica di presidente, è riuscito a presentare una legge che prevede una concreta possibilità di reinserimento lavorativo: l′assunzione dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione. Proposta recentemente approvata dalla Regione Sicilia, che Cutrò auspica possa essere estesa anche al resto d′Italia. Una battaglia condotta a lungo con fatica, "rompendo le scatole" alle istituzioni e alle forze politiche, perché solo in questo modo, come anche in altre occasioni di lotta messe a punto dall′imprenditore, è possibile ottenere qualche risultato. E ancora altre conquiste in favore dei testimoni di giustizia l′associazione si prefigge di raggiungere, anche se spesso manca compattezza al suo interno e le istituzioni sono sorde alle grida di aiuto, così come la popolazione stessa che, ad Agrigento, città più mafiosa d′Italia, non gli ha dimostrato alcuna vicinanza.

Alla fine, Cutrò ha invitato i ragazzi a denunciare, a scuotere le coscienze con gesti forti, a rompere la cortina di omertà che avvolge il territorio che abitano, perché «dove c′è silenzio, c′è mafia».

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Poi prima di accompagnare campisti e cooperatori al bar "Chiar di Luna", dove si è svolto lo slotmob contro il gioco d′azzardo, ha chiesto ai ragazzi sostegno concreto, per esempio, andando a fare un′iniziativa antimafia a Bivona.Lo Slotmob, invece, è stato il momento per riscoprire i giochi semplici di una volta, fatti di legno, tappi, calamite ed elastici, ma allo stesso tempo dire no all′azzardo, che racchiude tutta la negatività della dipendenza: "Riprendiamoci il gioco", titolo della mobilitazione, vuole liberare l′universo ludico dalle slot machine e restituirgli tutta la sua bellezza. Sullo stesso piano, bambini e adulti si sono lasciati andare, hanno sfogato la creatività inzuppando i pennelli nel colore, dando forma alle idee più bizzarre. Questo è il senso del gioco vero: esprimere la parte migliore di sé senza filtri, senza pudore. E non pentirsi di averlo fatto.

 
 
 

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